Le vie dell’artigianato – Arti e mestieri locali
Impara gli antichi mestieri usticesi! Crea panari con i contadini, nasse con i pescatori, ricami con le signore locali. Custodisci tradizioni che stanno scomparendo e porta a casa la tua opera!
Simbolo
Pallino Arancione
Durata
2 ore
Adatto a
Tutti
Descrizione
L’esperienza consiste nell’incontro con l’artigiano locale il quale ci descriverà il suo lavoro, come viene effettuato, la manualità e la tradizione. L’incontro, avverrà nella piazza del centro paese, da dove ci si sposterà a piedi o in pullman presso i luoghi in cui gli artigiani esercitano. Si inizierà il percorso recandosi presso un contadino che si dedica all’arte della creazione dei “Panari” strumenti utili quali recipienti, lavorati con materiali locali (lentisco, olivastro e salice) attraverso la tecnica dell’intreccio. Ci si recherà poi da dei pescatori che si dedicano ancora alla lavorazione delle “Nasse” – utensili atti alla pesca per gamberetti e pesci da brodo – che vengono lavorati con molta lentezza utilizzando giunco e listelli di canne ed anche al paziente lavoro del “Sarcire”ossia il rammendo della rete da pesca eseguito con un attrezzo chiamato vugghia (grande ago) contenente nylon. Infine in una delle poche signore del posto intenta alla lavorazione del “Ricamo” in cui si ornano
i tessuti con tecniche che necessitano molta accuratezza. Il percorso può essere svolto in due modalità: o un artigiano per ogni escursione o un incontro con tutti gli artigiani in un unico punto. Lo spettatore, dal canto suo, riceverà tali nozioni e poi verrà proiettato in questa realtà provando a replicare l’opera in questione, seguito passo passo dall’artigiano.
Punti Salienti
I materiali principalmente usati per la realizzazione dei panari provengono direttamente dall’isola di Ustica, quali: il lentisco, il salice, l’olivastro (è il materiale più usato dato che è quello più duraturo nel tempo) e le canne. Il periodo della lavorazione si divide in periodo invernale ed estivo. Nel periodo invernale questo
materiale si taglia e viene ripulito e fatto seccare e conservato fino all’arrivo dell’estate. Giunti nel periodo estivo, la pianta di olivastro per poter essere lavorata la si fa ammorbidire in acqua per far ritrovare la giusta elasticità. La lavorazione comincia dalla base chiamata ‘’ossatura’’, successivamente si prendono 16 bacchette che vengono intrecciate fra di loro e così facendo inizia il vero e proprio intreccio. La chiusura del panaro può avvenire con il manico, senza manico o con i manici laterali, a seconda del modello che si preferisce. Un tipo di
lavorazione che si è ripresa nel corso degli anni è la lavorazione a navetta, essa si distingue dalle altre perché il fondo non è rotondo ma ovale, inoltre con questa tecnica si possono realizzare i punti luce.
I panari hanno utilizzi diversi, dato che alcuni prendono la forma di veri e propri cesti, utilizzati per la raccolta dei prodotti nei campi, ma anche come portapane o portafrutta. Successivamente troviamo i punti luce, che si dividono tra i panari a comodino, utilizzati principalmente a terra e i panari a tetto che si possono utilizzare come veri e propri lampadari, dove la luce della lampadina si riflette nelle insenature, creando un effetto di luci e ombre. I panari di dimensioni più piccole richiedono tempistiche maggiori, poiché sono difficili da lavorare e richiedono una maggiore manualità, quelli grandi no. I tempi che vanno, dalla lavorazione del materiale al prodotto finito, sono di circa 6 ore.
I panari vengono venduti durante la stagione estiva, il budget iniziale è di 20 euro per cercare di fidelizzare i clienti, anche se il prezzo reale comprendendo i tempi di lavorazione dovrebbe essere molto più alto. Le origini di questi cesti risale ai tempi della Mesopotamia, poiché all’interno delle grotte venivano ritrovati, per usi quotidiani. L’isola godeva appieno di questa produzione, ma col passare degli anni, solo una famiglia ha continuato a tramandare quest’arte più unica che rara.
Si tratta di un’arte che ormai è caduta in disuso, soltanto 5 signore la praticano ancora nell’isola di Ustica ed esse vorrebbero che si ritornasse a far continuare questa attività attraverso dei corsi di ricamo. Il ricamo è il lavoro eseguito con ago su tessuto per abbellirlo. Lavoro certosino che dà vita a delle vere e proprie opere artistiche. Le donne di Ustica lo operano da più di un secolo usando vari tipi di cotone sia colorato che bianco. Il lavoro per tanto viene svolto per poche occasioni ed usato prettamente per teli, federe, lenzuola, per qualche elemento vestiario, tende, tamburelli o anche per lavori ad uncinetto; raramente d’estate si sono anche effettuati dei piccoli mercatini dove alcune ricamatrici hanno posto in vendita alcune delle loro opere. La lavorazione avviene attraverso delle tecniche su telai da ricamo particolari dove si operano dei punti, i più usati soprattutto sono: il punto erba e il punto croce.
Il punto erba è uno di quei punti base del ricamo e si usa per gli steli, le foglie e tutti gli elementi da ricamare con una sorta di cordoncino delicato. Il procedimento del punto è: da sinistra verso destra, anche se una
volta pratici, si effettuerà il lavoro in base a come viene più comodo. Per ricamare, ritorna utile il telaio da ricamo rotondo che fissa e tende il tessuto. Quindi, si trasferisce sulla stoffa gli schemi con la carta carbone, i decalcabili oppure si possono fare dei disegni a mano libera. Per questo punto, infatti, bastano poche linee da ricoprire con ago e filo, perciò si può anche fotocopiare un’immagine a piacere. Dopodiché s’inserisce l’ago all’inizio del disegno, dal rovescio verso il diritto, infilzarlo dopo 3-5 fili della stoffa; di nuovo, fai uscire l’ago dal rovescio sul diritto, in corrispondenza della fine del punto che avevi fatto prima. Inoltre vi è il punto d’erba doppio: si lavora come il punto erba semplice, ma con una differenza: quando si infilza l’ago dal rovescio sul diritto, si punta alla metà del punto che si era fatto prima. In entrambi i casi, sia per il punto erba semplice sia per quello doppio, è importante prendere lo stesso numero di fili o comunque inserire l’ago più o meno alla stessa distanza. Anche per questa lavorazione, infatti, conta sia la manualità sia l’omogeneità del ricamo finale.
Il punto croce è un classico del ricamo perché universalmente riconosciuto come un punto facile da eseguire. A punto croce si ricama il tessile della casa come ad esempio tendine, centri tavola, ma anche quadri e asciugamani. Non solo: il punto croce è il tipo di ricamo perfetto per personalizzare il corredino del bebè.
Si lavora su tessuto a tessitura regolare. È opportuno scegliere una trama che può andare da 11×11 a 17×17 fili. L’ago deve avere una cruna larga, in modo da allargare i punti di ingresso nel tessuto e conferire maggiore regolarità al lavoro, e la punta arrotondata, per lo stesso motivo. Il filo, come in ogni tipo di lavoro ad ago, sarà di diametro e consistenza proporzionato al tessuto di base e al suo utilizzo finale. I fili colorati sono generalmente di cotone, lana, lino o viscosa e vengono lavorati in modo da formare una serie di X giustapposte, in due tornate, una di andata in cui si lanciano tutte le
barre inclinate nella stessa direzione, e una di ritorno in cui si formano le barre in senso inverso.
Questo procedimento consente un rovescio del lavoro ordinato, irrinunciabile in un lavoro di pregio. A completamento del lavoro, alcune parti sono rifinite a punto scritto, per dare maggiore senso di profondità all’insieme. Il filato più comunemente usato per il punto croce è il “cotone mouliné” che si presenta come un filo a sei capi divisibili; generalmente si usa un solo capo o due, in ragione del rilievo da dare al ricamo, ma alcuni capi richiedono anche l’intero filo di sei capi. Come base per il ricamo si possono usare tutte le tele che abbiano trama ed ordito regolare (canovacci) a filo singolo o doppio, l’Emiane (lino misto a cotone), la tela aida, la canapa e anche la juta (per realizzare lavori di stile rustico). La grossezza del filo usato deve essere proporzionale alla larghezza della trama, in modo da ottenere decori visibili.
L’arte del sarcire è quella di sapere rammendare la rete da pesca, un vero e proprio lavoro di cucitura di riparazione, oggi lavorata solo da qualche vecchio pescatore o da qualche discendente che ha appreso quest’arte. Il rammendo è importantissimo perché riduce di molto i costi, i materiali ed anche l’impatto ambientale. Tale lavoro viene svolto grazie ad un attrezzo chiamato “ago” a forma di navettache può essere di legno o di metallo
contenente una buona dose di nylon.
Esistono due metodi di riparazione: il metodo di modifica e il metodo di intarsio. Il metodo di modifica è il
metodo principale per riparare la rete ed è basata sui tre piedi sopra il buco (così sono volgarmente chiamati i lembi terminali della rottura), e le maglie che mancano dalla rete sono mancanti in successione, e i tre piedi sotto il foro sono terminati. Prima di riparare, i fori dovrebbero essere tagliati in modo che la parte superiore e inferiore del foro abbiano uno a tre gambe (punti di aggancio), e il resto sia allineato e orizzontale a riga singola, senza rifinitura. Si chiama il metodo di modifica della linea pesante.
Nel caso di un foro grande invece si usa il metodo di intarsio che consiste nel tagliare il buco in un quadrato o in un rettangolo e tagliare un pezzo delle stesse dimensioni della rete originale. È incorporato nella rete con una lunghezza inferiore alla buca e un lato largo, e i quattro lati e il foro sono formati dal metodo di tessitura. I bordi sono cuciti insieme.
Inoltre per far vivere la rete più allungo bisogna conservarla a circa mezzo metro dal suolo impacchettata o in scatole di legno all’interno di un magazzino con una buona circolazione dell’aria e lontano dalla luce solare diretta, dovrà essere aperta la porta con le belle giornate e chiusa ermeticamente nei giorni piovosi. Si deve prestare particolare attenzione alla muffa e alle muffe della fibra vegetale, che dovrebbero essere regolarmente asciugate al sole e stando attenti a tenerle lontane da fonti corrosivi. Mentre se la rete è tinta con olio di tung non deve essere impacchettata e dovrebbe essere dispersa su una griglia più alta per prevenire il calore e la combustione spontanea. Gli indumenti di maglia danneggiati devono essere riparati in tempo utile durante la conservazione o durante la pesca.
Ad Ustica sono rimaste soltanto tre persone che sannolavorare le nasse ancora all’antica, con materiale che proviene direttamente dalla natura e che quindi atto ad una pesca eco-sostenibile. La loro utilità è soprattutto
quella della pesca ai gamberetti rosa (Plesionika Narval), piccoli gamberetti molto spesso pieni di uova dal colore azzurro e dal sapore molto dolce da poterli mangiare crudi, una vera e propria prelibatezza del mare di Ustica.
La costruzione per questo tipo di nassa, inoltre, è molto intelligente perché essendo lavorata a maglie più larghe
dalle moderne, consente ai gamberetti più piccoli di uscire fuori dalla trappola, garantendo così una più alta
proliferazione della specie e trovarne abbondanza anche per la prossima pesca, cosa che non succede con le
moderne nasse perché avendo maglie molto stretteprendono tutto, creando un vero e proprio danno per la continuazione della specie stessa e di conseguenza per la loro pesca.
La materia principale per la creazione della nassa è il giunco ed è importante sapere come va trattato per evitare che si rovini. I migliori sono quelli che vengono dalla Sardegna perché più robusti ed integri ed hanno un costo non indifferente. Il periodo più adatto per raccoglierli è appena dopo S. Silverio. Vengono su facilmente perché ancora teneri. Vanno stesi al sole per essere asciugati e coperti con cura la sera per evitare che prendano umidità. A settembre/ottobre sono pronti, elastici e resistenti. Poi ci sono le canne tagliate a listelli sottili in modo che diventino flessibili. Non è facile imparare a tagliarle come si deve. Una volta pulita e levigata per bene si comincia dalla parte più sottile, prima dividendola a metà e poi via via a ricavarne strisce lunghe anche due metri e spesse poco più di mezzo centimetro. Infine i rametti di lentisco, scelti tra quelli meno nodosi, più lunghi possibile ma sottili in modo da essere facilmente piegati. Per iniziare una nassa si prende un rametto di lentisco e lo si piega per ricavarne un cerchio, questa è l’imboccatura della nassa, dal diametro del cerchio si
stabilisce quanto grande deve essere. L’inizio è la parte più difficile, se sbagli lì, l’errore te lo porti avanti, quindi ci vuole esperienza per evitare di far venire una nassa sproporzionata. Si fanno uno due
giri e, poi si fa proseguire la spirale con il primo listello di canna, tenendoli insieme con il filo di nylon, quello che si usa per riparare le reti da pesca, tutto il resto avviene meccanicamente come a seguire una sorta di protocollo. All’imboccatura si legano, sempre con il filo di nylon, i giunchi in gruppi di due o di tre che scendendo prendono strade diverse in modo da dar forma alla tramatura della gabbia.
Si continua con i listelli di canne che, uno dopo l’altro, danno forma e forza alla “campana”. La chiusura spetta ancora al tenace ramo di lentisco, più robusto e più lungo di quello utilizzato all’inizio.
La struttura della nassa, la forma, le sue dimensioni seguendo l’incrocio di giunchi e di strisce di canne nasce secondo un disegno ad incrocio che alla fine risulta essere fatto di tanti piccoli triangolini. Un suggerimento opportuno è quello di non forzare mai le mani su questo nobile materiale (canne e giunco) che la giusta stagionatura ha reso flessibile e ubbidiente. La nassa si compone di due pezzi: la campana di cui si è detto e la gabbia che è la parte attraverso la quale passano i pesci. Nasce con la base circolare che ha un diametro solo di uno/due centimetri inferiore a quello della parte finale della “campana” a cui va fissata una volta inserita. La tecnica per costruirla è la stessa. Incrociando giunchi e canne ne esce una sorta di imbuto dove la parte più sottile, rappresentata da un ciuffo di giunchi, è anche la più ingegnosa in quanto permette ai pesci, attratti dalle esche poste all’interno delle nasse, di entrare ma non di uscire. Molti, oggi, chiedono di volere una nassa per trasformarla in articolo di arredamento. “Una volta tutti i pescatori erano in grado di costruirle, erano obbligati ad imparare sapendo che pescando con le nasse potevano anche sfamarsi… era faticoso quel tipo di pesca, perché per trovare il pesce, quello buono… per trovare le aragoste dovevi farle scendere a 60/70 fino a 100 braccia che significa tradotte in metri fino a 100/150/200 metri di profondità… e tirarle da quei fondali non era uno scherzo. Le nasse sono di varie misure, ve ne sono alcune piccole per prendere dei pesciolini da frittura come le donzelle.
All’imboccatura delle nasse vengono posti uno o due sassi tenute fermi da una specie di cappio, un corda che è parte del cesto stesso. I sassi grazie al loro peso fanno capovolgere il cesto quando viene calato in acqua e lo fa adagiare sui fondali consentendo alla parte contrapposta, l’imboccatura a forma d’imbuto, di stare ferma rivolta verso l’alto sempre pronta a pescare. La costruzione della nassa piccola presenta più difficoltà rispetto a quella tradizionale, sia perché la bombatura che la caratterizza richiede maggiore attenzione nella manipolazione del giunco e della canna sia perché la trappola ad imbuto attraverso la quale passano i pesci è un tutt’uno con il corpo del cesto. Un’arte veramente bella ed affascinante che gli ultimi tre costruttori usticesi vorrebbero trasferire ai giovani ma purtroppo sull’isola non c’è molto interesse, forse bisognerebbe stimolarli.
Abbigliamento raccomandato
Consono per l’evento
Note Importanti
Si incontrano gli ultimi artigiani dell’isola per vederli all’opera con la loro arte, conoscere la loro storia e conservare i loro saperi.
Spesso si trovano gradini all’entrata.
Dati dell'Itinerario
Periodo Consigliato
da giugno a settembre
Orario: Tra le 15:00 e le 18:00