Villaggio Preistorico – Sulle tracce di come eravamo
Diventa archeologo per un giorno! Famiglie e bambini creano reperti in argilla, li nascondono e li scoprono insieme in un vero scavo-gioco, imparando collaborazione e divertendosi con la storia. Un’esperienza unica e coinvolgente!
Simbolo
Pallino Giallo
Durata
2 ore
Adatto a
Bambini e ragazzi Famiglie
Descrizione
L’esperienza che possiamo vivere in questo contesto, consiste nello sperimentare una sorta di gioco/laboratorio chiamato “L’allegro archeologo”. Il gioco culturale è adatto alle famiglie, in cui genitori e bambini, possono riprodurre insieme dei piccoli reperti archeologici dell’età del medio bronzo, lavorando argilla o Das (pasta modellabile che indurisce all’aria). Per fare in modo che i finti reperti siano realizzati in modo più verosimile possibile, saranno fornite delle foto dei veri reperti, di taglia piccola, ritrovati sul posto. Una volta terminato tale lavoro, dei finti reperti realizzati in precedenza (o il finto reperto appena realizzato se indurito) verranno nascosti sotto terra dai genitori.
Successivamente, l’attività prevede un piccolo scavo archeologico in cui i bambini, muniti di piccole palette, picconi, cazzuole, spazzole e secchi (tutto con materiale rigorosamente in plastica riciclata o biodegradabile) dovranno portare alla luce il finto reperto, con l’aiuto dei genitori, sepolto in un’area delimitata ad hoc. In questo modo i bambini, in una dimensione di gioco, conosceranno una delle fasi più importanti del processo archeologico che non consiste soltanto nel ritrovamento, ma anche nella collaborazione, nella ricerca, consigli e aiuto, tipici del lavoro di squadra, importantissimo per questo lavoro, attuato con i genitori.
Punti Salienti
Il Villaggio Preistorico Sicano dei Faraglioni (così chiamato per la presenza degli scogli antistanti chiamati Faraglioni) si trova in Contrada Tramontana, sul bordo costiero della caldera di Monte Guardia di Mezzo.
Per raggiungerlo basta seguire il sentiero di Tramontana che parte circa cento metri dopo dell’edificio comunale in direzione nordovest.
L’insediamento risale alla media età del Bronzo (1.400 – 1.200 a.C.) ed è uno dei più importanti complessi di età preistorica dell’intero bacino del Mediterraneo. Grazie all’articolato impianto “protourbano” che maggiormente caratterizza in Europa. Il Sito deve la sua scoperta al sacerdote padre Carmelo Seminara ed all’Archeologo Giovanni Mannino che nel 1974 bloccarono i lavori in loco relativi alla costruzione di un villaggio turistico perché il sacerdote aveva riconosciuto alcuni reperti archeologici rinvenuti dagli scavi. Da allora se ne è preoccupata della gestione la Soprintendenza ai Beni Ambientali e Culturali di Palermo (oggi affidato al Parco archeologico di Himera, Solunto e Iato della Regione Siciliana) che ha attuato diversi scavi che hanno evidenziato gran parte del villaggio che vi era un tempo poiché l’aspetto e la morfologia sono stati infatti profondamente alterati da fenomeni erosivi e di sprofondamento della costa seguiti da possibili terremoti e/o tsunami avvenuti proprio durante il periodo di vita dell’abitato, costringendo, presumibilmente intorno al 1250-1200 a.C., i suoi abitanti a un rapido abbandono del sito. Quello che emerge immediatamente è l’imponenza della sua opera difensiva. La fortificazione esterna delimita un’area di circa 7.000 mq, ma l’estensione del villaggio doveva sicuramente essere maggiore. Il muro, nella sua parte conservata, si estende per una lunghezza di 250 m con una larghezza alla base di circa 6 m e nella parte sommitale variabile fra 2,50/3 m. L’altezza attuale varia fra 2/3 m in considerazione del forte rimaneggiamento subito. L’imponente opera difensiva è costituita da una muratura a scarpa, quindi più larga e inclinata alla base, e doppio paramento – superficie esterna di una struttura muraria – costituito da due cortine di bombe di lava sovrapposte completate internamente con pietre e scarti di lavorazione.
Una serie di torrioni/contrafforti semicircolari, costruiti peraltro con massi di dimensioni maggiori, addossati alla cortina muraria ne scandisce con una certa regolarità la facciata esterna. A partire dal lato meridionale se ne contano tredici e uno solo di questi appare in fase con il muro di cinta; è possibile supporre che in risposta agli eventuali cedimenti strutturali fossero stati costruiti con funzione di rinforzo i contrafforti semicircolari appoggiati al paramento esterno.Oltrepassare la cortina muraria e accedere alla parte interna del sito permette al
visitatore di ammirare una disposizione degli alzati murari estremamente complessa.
Gli scavi effettuati a partire dai primi anni Settanta hanno portato alla luce una sorta di piano “urbanistico” preordinato, richiamando coeve esperienze della Sicilia orientale, si veda la stessa Thapsos, permeate di cultura micenea. Le capanne costituenti l’abitato del margine basso occidentale, giustapposte tra loro e costruite con
un elevato interamente realizzato in pietra locale, sono per lo più di forma subcircolare, quasi quadrangolari con angoli arrotondati, oltre che distribuite intorno a spazi all’aperto. Non sappiamo come fosse realizzato il tetto,
anche perché l’assenza di buche per l’alloggiamento di pali non permette di poter sentenziare teorie inoppugnabili, ma si può supporre che questi siano stati realizzati con rami di oleastro e completati con fasci di paglia avvolti ed intrecciati per coprire bene bene la struttura.
La maggior parte degli ambienti riportati alla luce sono disposti ai lati di una strada orientata nordovest-sudest della larghezza di circa un metro e possiedono pavimenti interni realizzati in terra battuta o in ciottoli marini. Ben visibili le banchine interne alle capanne, queste ultime spesso caratterizzate anche dalla presenza di enormi
macine al loro interno, lasciate in loco con il loro relativo macinello e ancora ben visibili in svariate unità. Il settore orientale, edificato a una quota leggermente più elevata presenta capanne disposte attorno a un cortile comune. Alcune di esse sono provviste di banchine mentre tutte ospitano al loro interno una grande lastra
quadripartita in terracotta utilizzata presumibilmente per la cottura degli alimenti.
Interessante stratigraficamente la disposizione di alcune capanne che per adattarsi al nuovo transito stradale assumono una particolare conformazione a “D”. Questa particolare configurazione planimetrica interessa nello specifico le capanne direttamente tagliate dall’asse stradale attribuibile all’ultima fase di vita del villaggio;
la rettifica dei muri rivolti verso la strada originò infatti questa eccentrica tecnica costruttiva. Il repentino abbandono del villaggio da parte dei suoi stessi abitanti, avvenuto all’incirca fra il 1250 e il 1200 a.C., potrebbe essere una delle cause della notevole percentuale di materiale ceramico e dei numerosi arredi mobili rinvenuti durante gli scavi. La fuga precipitosa, l’abbandono delle capanne e delle suppellettili quotidiane rafforzerebbero la plausibilità di un evento improvviso connesso probabilmente a rilevanti e puntuali fenomeni naturali. Lo studio delle evidenze recuperate all’interno delle abitazioni farebbe pensare a un elevato tenore di vita della popolazione residente basato probabilmente su una economia di sussistenza rivolta ad attività legate all’agricoltura, alla pesca, alla pastorizia oltre a produzioni specializzate come la metallurgia. Fra il repertorio vascolare documentato all’interno del villaggio la forma prevalente è rappresentata dalle coppe su alto piede. Si tratta, principalmente, di profonde scodelle troncoconiche accolte su alto gambo a tromba e fornite di due anse orizzontali aventi funzione più decorativa che funzionale.Le dimensioni di queste coppe raggiungono misure notevoli, talvolta anche la cinquantina di centimetri; l’ipotesi meglio accreditata per questi particolari vasi è la loro destinazione al consumo collettivo di pasti. Altre forme ben presenti fra la produzione locale sono le brocche, le anforette, gli orci preposti alla conservazione dei liquidi e degli alimenti oltre a pentole e teglie utili per la loro cottura. Elementi ceramici di forma più o meno circolare, ricavati dalle pareti dei vasi inutilizzati, probabilmente impiegati come gettoni da computo contabile, sembrerebbero direttamente imputabili ai traffici e agli scambi commerciali interni ed extraisolani.
Questi tokens, già ampiamente diffusi nel mondo Vicino Orientale in epoche remote, sarebbero piccoli oggetti d’argilla rappresentanti unità di calcolo, come, per esempio, una certa misura di cereali o un capo di bestiame; modellati spesso in forme singolari, geometriche, identificabili e duplicabili costituirebbero un primo codice e il primo sistema impiegato per comunicare, elaborare e immagazzinare informazioni. Le principali forme ceramiche rinvenute sono: Teglia, Coppe su alto piede, Anfora, Tazza, Olla, Boccale, Olletta, Tazza tronco-conica che insieme agli altri reperti troviamo custoditi all’interno del Museo Archeologico “padre Carmelo Seminara”.
Non è stata recuperata solo ceramica dalla terra asportata nelle ripetute campagne di scavo, ma anche numerosi utensili di ossidiana; un buon numero di questi esemplari provenienti da svariati contesti isolani sono stati recentemente indagati con lo scopo di rintracciarne i percorsi e le origini.
Le ossidiane analizzate nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma e Palermo, l’INGV, hanno indicato nell’isola liparota e in quella di Pantelleria le principali fonti d’approvvigionamento materiale. In misura minore frammenti litici sarebbero attribuibili all’area pontina, l’isola di Palmarola, e al famoso sito sardo di Monte Arci a dimostrazione della presenza di Ustica nelle rotte commerciali tirreniche ampiamente attestate per l’epoca. Nel 2016 nel corso di un congresso di archeoastronomia tenuto sull’isola è stata suggerita l’interpretazione del villaggio anche come grande calendario astronomico, in cui si ipotizza che
l’allineamento del sole con i picchi della Falconiera all’alba, della Guardia dei Turchi e della Costa del Fallo al tramonto, nel giorno del solstizio invernale, avrebbe rappresentato per gli antichi abitanti il ritorno alla luce, l’allungamento delle giornate, l’aumento delle temperature e l’approssimarsi del periodo della semina: un ritorno alla vita e alla speranza di cibo abbondante che sicuramente poteva essere molto rilevante per la popolazione di allora. Infine nel 2023 a seguito di ricerche e scandagli dell’INGV, si è scoperto che il villaggio continuava anche al di fuori delle mura difensive.
Abbigliamento raccomandato
Si consiglia: scarpe comode, vestiario comodo e cappellino
Note Importanti
Villaggio del medio Bronzo tra i più importanti del Mediterraneo.
Agevole anche per chi ha problemi di deambulazione.
Dati dell'Itinerario
Periodo Consigliato
da giugno a settembre
Orario: Tra le 15:00 e le 18:00